giovedì 10 luglio 2008

Gli interessi in comune

Faceva un caldo micidiale, quel giorno, per essere inizio giugno. Ero reduce da un’ora buona di coda alla posta centrale per pagare una bolletta scaduta da tre giorni, ero dovuto andare al bancomat a prendere i soldi, poi tornare un po’ indietro fino alla posta, e lì scoprire la fila che arrivava quasi alla porta d’ingresso. Tutto questo, cinque giorni prima di un esame, per cui una mattinata persa non era cosa da poco. Infastidito dalla snervante attesa e dal caldo torrido di quella mattina, avevo bisogno di rilassarmi un po’, e di godermi un po’ di fresco, e il luogo ideale per fare entrambe le cose era la libreria. Tra l’altro avevo ritirato un po’ di soldi in più, quindi potevo anche permettermi un acquisto. Mi rigirai tutta la libreria da cima a fondo, non c’era quasi nessuno, il che per me è sempre un grosso vantaggio in un negozio. Infatti, la direttrice era in vena di chiacchiere, e attaccava bottone con tutti, ma senza infastidire. Quando mi vide in mano questo libro, mi disse “Sa che ospiteremo questo autore, qui da noi?”. Mi fece molto piacere saperlo, conto di andarci, quando succederà. È bello vedere che dei giovani autori hanno anche loro un po’ di attenzione, secondo me è un buon mezzo di incoraggiamento. Vanni Santoni compirà trent’anni nel 2008, non so quando di preciso, forse li ha già compiuti, poco importa. Quello che importa è che già a questa età pubblicha su una dozzina di testate giornalistiche, tra cui c’è la pagina fiorentina del Corriere della sera, con una sua rubrica quotidiana. Roba da poco, insomma.

“Gli interessi in comune” è un libro generazionale. In realtà, non rappresenta un’intera generazione, ma una fettina di una generazione, una piccola quota di individui che si distinguono per un particolare interesse. La generazione è quella degli adolescenti di metà anni Novanta, la fettina è quella dei tipi un po’ sbandati, seguiti per dieci anni della loro vita, l’interesse in comune è il sistematico, metodico, scientifico uso di ogni tipo di sostanza stupefacente. Però loro non sono i tossici, quelli sono quelli che ci restano, e nemmeno gli strafattoni o i ravettari. No, loro sono gli psiconauti. La loro non è dipendenza (?) ma desiderio, non tanto di farlo, ma di farlo sempre in modo diverso. E così eccoli lì, in una provincia toscana che più immobile non si può, dove il centro del mondo è il bar Miro, dove nessuno ha un vero nome, ma solo un soprannome, dove nel gruppo non c’è posto per le ragazze, la scuola, il lavoro, la famiglia, l’università. Nel gruppo ci sono solo le sostanze. Si esce per provarle, si va alle feste per provarle, si conosce gente per provarle. E quando lo scenario si allarga, è sempre e solo per quelle. A Firenze per trovare altra roba, a Pistoia per un rave all’insegna delle paste, perfino in Europa, ad Amsterdam, dove c’è solo l’imbarazzo della scelta. E così, gli antieroi di Santoni crescono solo anagraficamente, ma rimangono sempre adolescenti, che vogliono scappare ma che non ci riescono e rimangono, anche quelli che si allontanano alla fine ritornano, sempre in cerca di quell’unico, solito, interesse in comune.

Un romanzo interessante, questo, soprattutto per il suo studio delle dinamiche del gruppo, e dei rapporti tra questo e il resto del mondo. Forse, se un difetto gli si deve proprio trovare, è quello di essere un po’ troppo calato nell’ambiente giovanile, tanto che credo non potrebbe piacere molto ad un adulto. Raramente, infatti, fanno capolino la famiglia, il lavoro, le responsabilità, che nelle storie dei ragazzi sono praticamente assenti. A mio parere, proprio questa potrebbe essere vista come un’operazione letteraria di alto livello,: Santoni decontestualizza i suoi eroi, li trasforma in sagome di carta ritagliate dal loro foglio e messe insieme a comporre un teatrino tutto loro. E in questo modo, quelle presenze evanescenti, come la preoccupazione di una madre, acquistano molto più vigore in quei brevissimi frammenti in cui compaiono di quanto non farebbero se fossero protagoniste insieme alle storie dei ragazzi e dei loro abusi.

“Vai a prendere un caffé?” chiede il Malpa, quasi mimando l’idea di accompagnarlo.
“No. Vado via.”
“Via dove? Ma vien via!”
“Vado a casa.”
A quel punto anche Sandrone si scuote. “Ma dai, Mella! Tra qualche ora, appena ci riprendiamo, partiamo pure noi!”
“No. Vado via ora.”
È irremovibile. Per un attimo il Paride, il Malpa e Sandrone si rendono conto di avere di fronte un perfetto sconosciuto, una persona finita insieme a loro solo per un interesse in comune.
Il gruppo, col Mella, aveva condiviso tanto, e allo stesso tempo nulla. Al Paride viene in mente una frase storica dello stesso Mella e gli scappa un sorriso.
“Dicono che dalle droghe leggere si passa a quelle pesanti... Nel mio caso è vero, ma io volevo fin dall’inizio arrivare a quelle pesanti... è che mi è toccato passare da quelle leggere!”

4 commenti:

Fra ha detto...

i romanzi generazionali sono sempre difficili, sia per chi li scrive che per chi li legge. si rischia di mistificare un periodo o di cristallizzare i personaggi appiattendoli nel loro contesto socio-temporale. e qui che si vede la bravura dell'autore. Dalla tua recensione mi sembra un libro ben scritto...metto nella wish list
Un abbraccio
PS ho fatto il meme ;)

Adryss ha detto...

L'ho visto, e mi sono piaciute molto le tue scelte. L'unico che non conosco è il personaggio del libro... ma non si può sapere tutto! Mi fa molto piacere che apprezzi i miei post, e non solo quelli sui libri... Un abbraccio anche a te, alla prossima.
PS Prima o poi troverò il coraggio di sperimentare qualcuna delle tue ricette, cercando di non far esplodere la cucina!

Adryss ha detto...

Dimenticavo: ti meriti una lode speciale per aver scelto "Arkham asylum" come citazione per Batman! E' una graphic novel meravigliosa! Ancora complimenti!

Elisa ha detto...

libro bellissimo!