Come noi fummo giù nel pozzo oscuro
sotto i piè del gigante, assai più bassi,
e io mirava ancor all’alto muro,
dicere udimmi: “Guarda come passi!
Va’ sì, che tu non calchi con le piante
le teste de’ fratei miseri lassi!”
Perch’io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago, che per gelo
avea di vetro e non d’acqua sembiante.
[...]
E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor dell’acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana;
livide insin là dove appar vergogna,
eran l’ombre dolenti nella ghiaccia,
mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la faccia:
da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo
tra lor testimonianza si procaccia.
Inferno, canto XXXII versi 16-24 e 31-39
venerdì 10 ottobre 2008
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