Poscia vid’io mille visi, cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien ribrezzo,
e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
E mentre ch’andavamo inver lo mezzo
al quale ogni gravezza si rauna,
e io tramava nell’eterno rezzo;
se voler fu, o destino, o fortuna
non so; ma, passeggiando tra le teste,
forte percossi il piè nel viso ad una.
Piangendo mi sgridò: “Perché mi peste?
Se tu non vieni a crescer la vendetta
di Mont’Aperti, perché mi moleste?”
[...]
“Qual se’ tu, che così rampogni altrui?”
“Or tu chi se’, che vai per l’Antenora,
percotendo,” rispuose, “altrui le gote,
sì che, se fossi vivo, troppo fora?”
“Vivo son io, e caro esser ti puote,”
Fu mia risposta, “se domandi fama,
ch’io metta il nome tuo tra l’altre note.”
Ed egli a me: “Del contrario io ha brama:
levati quinci, e non mi dar più lagna;
chè nol sai lusingar per questa lama!”
Allor lo presi per la cuticagna,
e dissi: “E’ converrà che tu ti nomi,
o che capel qui su non ti rimanga!”
Ond’egli a me: “Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch’io sia, né mostrerolti,
se mille fiate in sul capo mi tomi.”
Io avea già i capelli in mano avvolti,
e tratti glien’avea più d’una ciocca,
latrando lui con gli occhi in giù raccolti;
quando un altro gridò: “Che ha tu, Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle,
se tu non latri? Qual diavol ti tocca?”
“Omai,” diss’io, “non vo’ che tu favelle,
malvagio traditor! Che alla tua onta
io porterò di te vere novelle.”
“Va’ via,” rispuose, “e ciò che tu vuoi, conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
di quel ch’ebb’or così la lingua pronta.
Ei piange qui l’argento de’ Franceschi:
‘Io vidi,’ potrai dir, ‘quel da Duera
là dove i peccator stanno freschi.’”
Inferno, canto XXXII versi 70-81 e 87-117
sabato 18 ottobre 2008
In memoria 73 - Bocca degli Abati - Buoso da Dovara
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