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“Piano meccanico” è il primo romanzo di Vonnegut, pubblicato nel 1952, proprio alla fine di quella guerra da cui l’autore prende spunto per la sua storia. In un ipotetico futuro, dopo una guerra che ovviamente è stata l’ultima, tutto ciò che esiste è controllato dalle macchine. Durante il conflitto, alcuni tecnici e manager hanno dovuto rinunciare alla forza lavoro umana, chiamata a combattere, e l’hanno sostituita con sofisticati impianti tecnologici. Finita la guerra, ci si è resi conto che la situazione andava benissimo, si era creata un’utopia dove tutto funzionava alla perfezione. Così, alcuni tecnocrati selezionati in base al loro quoziente intellettivo gestivano intere città da soli, e il resto delle masse, le cui attitudini consentivano loro di svolgere solo lavori manuali che non esistevano più, era relegato in un limbo in cui non erano più necessari. In questo contesto, il cittadino medio americano viveva relegato in un ghetto lontano dalle industrie, circondato da comodità atte ad ammansirlo. Uno scarto del processo industriale dal quale non ci si aspetta nessuno scatto di ribellione. Però l’ingranaggio si inceppa. Paul Proteus, uno di quelli che la genetica ha eletto sovrani del mondo, devia dai binari della sua ordinata esistenza per accorgersi che l’uomo non deve cambiare il mondo, deve cambiare se stesso.
“Piano meccanico” è l’invito che Kurt Vonnegut faceva già nel 1952 all’America, e insieme a tutto il mondo, chiedendo che la società sia formata da individui disposti a pensare che la cultura americana, così come ogni altra cultura, non è né vera né utopica, ma parziale e imperfetta.
Andassero tutti all’inferno, andasse tutto all’inferno. Questo segreto distacco gli dava la deliziosa impressione che il mondo intero fosse un palcoscenico. Mentre aspettava il momento in cui lui e Anita sarebbero stati psicologicamente pronti a mollare tutto per iniziare una vita migliore, Paul continuava a recitare la sua parte di direttore dello Stabilimento di Ilium. Esteriormente, come direttore, non era cambiato; ma internamente si burlava delle anime meno libere e più meschine che prendevano sul serio quel lavoro.
2 commenti:
Ho letto Mattatoio n°5 cercando di assorbirne ogni parola, ogni immagine visionaria, il senso di disturbo che alcuni passaggi mi comunicavano. Comincio a mettere da parte i risparmi per i prossimi libri :)
Un abbraccio
Fra
Io ce li ho tutti tranne uno, mi sono costati un botto, in edizione non tascabile, ma ne vale davvero la pena! Mi è rimasto il desiderio di quell'unico che non ristampano più! Chissà, forse un giorno lo troverò in qualche libreria sperduta. Baci...
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