Quando noi fummo in su l’ultima chiostra
di Malebolge, sì che i suoi conversi
potean parere alla veduta nostra,
lamenti saettaron me diversi,
che di pietà ferrati avean gli strali;
ond’io gli orecchi con le man copersi.
[...]
Noi discendemmo in su l’ultima riva
del lungo scoglio, pur da man sinistra;
e allor fu la mia vista più viva
giù ver lo fondo, la ‘ve la ministra
dell’alto sire, infallibil Giustizia,
punisce i falsador che qui registra.
[...]
Qual sovra il ventre, e qual sovra le spalle
l’un dell’altro giacea, e quel carpone
si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam sanza sermone,
guardando ed ascoltando gli ammalati,
che non potean levar le lor persone.
Io vidi due seder a sé poggiati,
come a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
dal capo al piè di schianze maculati;
e non vidi giammai menar stregghia
da ragazzo aspettato dal signorsi,
né da colui che malvolentier vegghia,
come ciascun menava spesso il morso
dell’unghie sovra sé per la gran rabbia
del pizzicor che non ha più soccorso;
e si traevan giù l’unghie la scabbia
come coltel di scardova le scaglie,
o d’altro pesce che più larghe l’abbia.
Inferno, canto XXIX versi 40-45, 52-57 e 67-84
mercoledì 3 settembre 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento