“Ecco la fiera con la coda aguzza
che passa i monti, e rompe i muri e l’armi;
ecco colei che tutto il mondo appuzza!”
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin de’ passeggiati marmi.
E quella sozza immagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e il busto;
ma in su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle;
e d’un serpente tutto l’altro fusto.
Due branche avea pilose infin l’ascelle;
lo dosso e il petto ed ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con più color, sommesse e soprapposte
non fer mai drappo Tartari né Turchi,
né fur tai tele per Aragne imposte.
Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi
lo bivero s’assetta a far sua guerra;
così la fiera pessima si stava
su l’orlo che di pietra il sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in su la venenosa forca,
che a guisa di scorpion la punta armava.
Inferno, canto XVII versi 1-27
lunedì 12 maggio 2008
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