Quando noi fummo là, dov’ei vaneggia
di sotto, per dar passo agli sferzati,
lo duca disse: “Attienti, e fa’ che feggia
lo viso in te di quest’altri mal nati,
a’ quali ancor non vedesti la faccia,
però che son con noi insieme andati.”
Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venia verso noi dall’altra banda,
e che la ferza similmente scaccia.
E ‘l buon maestro, senza mia dimanda,
mi disse: “Guarda quel grande che viene,
e, per dolor, non par lagrima spanda.
Quanto aspetto reale ancor ritiene!
Quelli è Giason, che per cose e per senno
li Colchi del monton privati fene.
Egli passò per l’isola di Lenno,
poi che le ardite femmine spietate
tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
che prima l’altre avea tutte ingannate.
Lasciolla quivi gravida soletta:
tal colpa a tal martiro a lui condanna;
ed anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna:
e questo basti della prima valle
sapere, e di color che in sé assanna.”
Inferno, canto XVIII versi 73-99
martedì 20 maggio 2008
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