Era lì, sullo scaffale, e mi guardava con la sua copertina nera con il riquadro giallino al centro, e da lontano mi sussurrava: “Comprami... Comprami...”. E io mi maledicevo, perché come al solito, se mi avessero appeso a testa in giù, dalle tasche non mi sarebbe caduto neppure un centesimo, figuriamoci quei dodici euro che mi servivano. Sono uscito dalla libreria con l’aria di chi si sente quasi in colpa per aver mancato di rispetto a una persona che stima, ma non potevo fare altrimenti. Avrebbe dovuto pazientare su quella mensola ancora per ventiquattro ore, quando sarei tornato per prendere il nuovo libro di Domenico Starnone. Di “Labilità” ho già scritto, quindi non è necessario che mi ripeta. Ero sicuro che anche con “Prima esecuzione” avrei provato le stesse sensazioni contrastanti di quella volta, e infatti si è verificato esattamente questo.
“Prima esecuzione” è forse la sublimazione di quello che “Labilità” rappresentava già molto bene. Lì c’era uno scrittore come personaggio, che vedeva la sua vita presente invasa da fantasmi del passato. Potremmo immaginare che quel personaggio fosse l’alter ego dello scrittore, ma solo lui può saperlo. In questo nuovo libro, invece, tutto ciò è dichiarato. Domenico Stasi è la trasposizione letteraria di Domenico Starnone (l’allitterazione fonetica ne è solo un elemento), al punto che alcune vicende accadute all’autore nella sua vita reale diventano spunto per le vicende del personaggio. Ma c’è di più. Starnone è lui stesso personaggio di alcuni capitoli del libro, così come lo è il libro stesso. In alcune parti, infatti, le vicende dei personaggi sono intercalate dalle riflessioni realistiche dell’autore riguardo il periodo di produzione del romanzo, il suo studio delle varie parti, a che cosa sono dovute certe immagini, i suoi dubbi sull’inserimento di una certa vicenda in un certo punto. “Prima esecuzione” è quindi personaggio di se stesso, così come Domenico Starnone è personaggio del libro che sta scrivendo. Lui stesso cerca una strada dentro il suo scrivere, che si rivela portatrice di nuove esperienze, le quali a loro volta risuonano secondo una melodia costante da sempre: quella di inventare storie sentendosi allo stesso tempo da queste inventato.
Come avrete visto, non ho speso neanche una parola per parlare della trama, della vicenda in sé, non perché sia poco interessante o marginale, anzi è molto coinvolgente, ma quello che veramente spiazza il lettore è leggere a un certo punto che tutto sta cambiando sotto le proprie mani, che il libro che si sta leggendo si trasforma in qualcosa di diverso. È come se, mentre si è immersi in una vasca piena d’acqua, si tirasse fuori la testa e ci si rendesse conto che la stessa vasca galleggia in mezzo al mare, e questo mare con la vasca dentro non è altro che il sogno di uno scrittore che con la sua fantasia lo sta creando, goccia dopo goccia.
Tornai in strada, raggiunsi la fermata dell’autobus. Fuori c’era, per sommi capi, l’azzurro del cielo, il verde degli alberi, il rosso del semaforo, il blu dei calzini nella scarpa nera, un nugolo di moscerini, l’oscillare delle bandiere stinte su cui si legge pace, il gatto che balza oltre la cancellata, i passanti frettolosi o svagati, la vegetazione dei giardini che si protende oltre i muri e rischia di strapparti un occhio, le auto, gli autobus, un aereo luccicante, le pale degli elicotteri come nei giorni in cui si protesta, si grida, ci si azzuffa. Mi piaceva ogni cosa del mondo, quando si mostrava per sommi capi.
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