È sera. Non proprio notte fonda, ma quel momento crepuscolare in cui non ti va ancora di accendere una luce ma allo stesso tempo non riesci più a leggere chiaramente le parole di un libro. È aprile. Non fa freddo, ma nemmeno caldo, si sta bene con una felpa leggera, fuori in terrazza. Si sta ancora meglio se si hanno gli auricolari del lettore mp3 nelle orecchie. Si sta ancora meglio se il lettore mp3 suona le canzoni di “Non al denaro, non all’amore né al cielo”.
Ho scoperto questo disco che avevo dodici anni, e allora era proprio un disco, nel senso letterale della parola. Era l’originale 33 giri in vinile di mia madre che ho ancora conservato. Il fatto che poi si sia passati al cd e all’mp3 non toglie nulla al fascino di quel pezzo di plastica, nero e gracchiante, che andava sul piatto del mio primo stereo ormai scassato. Su questo disco si potrebbero scrivere decine di pagine, ma non è mia intenzione farlo. Volevo solo ricordare che tutte le canzoni percorrono due filoni fondamentali (allora erano il lato A e il lato B del disco!): l’Invidia, che si conclude con “Un malato di cuore”, e la Scienza, che si conclude con “Il suonatore Jones”. Voglio parlare un po’ della prima. A parte la prima canzone, “Dormono sulla collina”, che è l’introduzione a tutta l’opera, l’Invidia si snoda attraverso i primi tre ritratti: “Un matto”, “Un giudice” e “Un blasfemo”, e si chiude, come dicevo, con “Un malato di cuore”. Si chiude vuol dire che il malato di cuore è l’unico che sconfigge l’Invidia, mentre gli altri tre la affrontano ma la subiscono, risolvendola, alcuni positivamente altri negativamente, ma senza sconfiggerla. La ragione, ce lo dice lo stesso Fabrizio in un’intervista in calce rilasciata a Fernanda Pivano, è che i primi tre provano un’invidia senza substrato, senza ragione, quasi fine a se stessa, mentre il malato di cuore, che avrebbe davvero di che invidiare gli altri, non cede a questo sentimento ma viene spinto dall’unica forza in grado di sconfiggere l’invidia: l’amore. Un amore che gli costa tutto, che lo priva della vita, ma che gli regala un istante. Quell’unico istante per cui vale la pena vivere, per cui vale la pena aspettare. Un unico istante per il quale bisogna lottare, sudare, gridare, soffrire. A volte, rinunciare. Ci vuole del coraggio a morire per una causa, per un’idea, per una speranza. Ce ne vuole molto di più a morire per un amore.
Ma che la baciai, questo sì, lo ricordo,
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per dio sì, lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra.
Riascolto queste canzoni da più di quattordici anni ormai, e ogni volta ci ritrovo dentro una strofa, una frase, una parola, persino una sillaba, che ancora non avevo scoperto, che non conoscevo, che mi fa sussultare. La vita è fatta di momenti, tutti speciali, nel bene e nel male. I momenti non sono la laurea, il matrimonio, i figli o cose del genere. I momenti sono un disegno, un incidente, una penna, un film, un paio di scarpe, un sacchetto arancione, una tutina verde, una canottiera, una lastra, una scala, un corridoio... Un sorriso. Una parola. E un cuore che si spezza. Un cuore che resta sulle labbra.
1 commento:
Sei davvero molto bravo/a a scrivere...mi è piaciuto moltissimo.
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