“Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e disserrando, sì soavi
che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi.
Fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’io ne perdei li sonni e i polsi.
La meretrice, che mai dall’ospizio
di Cesare non tolse gli occhi putti,
morte comune e delle corti vizio,
infiammò contra me gli animi tutti;
e gl’infiammati infiammar sì Augusto,
che i lieti onor tornaro in tristi lutti.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo con morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nuove radici d’esto legno
vi giuro che giammai non ruppi fede
al mio signor, che fu d’onor sì degno!”
Inferno, canto XIII versi 58-75
lunedì 28 aprile 2008
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