Ecco un’altra di quelle saghe familiari che mi piacciono tanto e di cui ho già parlato a proposito de “Il quinto esilio”. Stavolta però, c’è una variante: le vicende della famiglia Mitwisser non sono narrate da uno dei suoi membri, ma da un’estranea.
Rose Maedows, diciottenne, brillante, istruita, è l’unica a rispondere ad un annuncio di lavoro trovato sul giornale. Buttata fuori di casa dalla fidanzata del cugino, Rose accetta di fare ‘l’assistente’ per la famiglia Mitwisser, da poco trasferitasi da Berlino a New York. Ma non sa di preciso se è stata assunta per essere la segretaria di Rudolf, il capofamiglia, o l’infermiera di Elsa, la moglie malata, o ancora la governante dei loro cinque figli, complicati e particolari. Comincia così la dicotomia tra il sentimento della vita del migrante dei Mitwisser e l’intrusione della americanissima Rose nella loro fragile struttura. Un’antitesi, quella tra la vecchia Europa e la nuova America, che si acuisce nello scontro, a volte aperto a volte velato, tra Rose e la maggiore dei figli Mitwisser, Anneliese. A complicare le cose, si inserisce un altro personaggio, James, ambiguo come e più degli altri membri della famiglia, che si comporta come se ne facesse parte ma in realtà è un estraneo.
Così si aggiunge un mistero sull’altro: cosa ha costretto i Mitwisser a lasciare Berlino, qual è l’origine della malattia di Elsa, cosa scatena l’astio di Anneliese nei confronti di Rose, chi è in realtà James e perché è ritenuto così importante dalla famiglia. Ad uno ad uno, tutti verranno risolti sotto lo sguardo curioso e allo stesso tempo angosciato della giovane Rose, alle prese anche con i suoi problemi personali e con i difficili rapporti con il cugino Bertram e la sua fidanzata.
Bellissimo romanzo di Cynthia Ozick, che è insieme racconto romantico, fiaba allegorica, satira sociale e saggio di riflessione. Ma soprattutto, è una splendida galleria di ritratti, di soggetti particolari ed unici, degli outsiders messi insieme dal caso, costretti dalla sorte ad intrecciare le loro esistenze, consapevoli allo stesso tempo della loro mancata appartenenza ad alcun contesto di identità. Anche se nella narrazione non ci sono momenti di stanca, tutti i personaggi, dal primo all’ultimo, sono, e sanno benissimo di essere, irrimediabilmente soli.
1 commento:
Ciao Filippo,
hai visto che ho pubblicato il tuo secondo articolo?
Aspetto il terzo allora!
Ciaoooooo!
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