mercoledì 9 aprile 2008

In memoria 17 - Farinata degli Uberti

“O Tosco, che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio,
alla qua’ forse fui troppo molesto.”
Subitamente questo suono uscio
d’una dell’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Ed ei mi disse: “Volgiti: che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
dalla cintola in su tutto il vedrai.”
I’ avea già il viso nel suo fitto,
ed ei s’ergea col petto e colla fronte
come avesse lo inferno in gran dispitto.
E l’animose man del duca pronte
mi pinser tra le sepolture a lui,
dicendo: “Le tue parole sien conte.”
Com’io al piè della sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: “Chi fur li maggior tui?”
Io, ch’era di ubbidir desideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in soso,
poi disse: “Fieramente furo avversi
a me e a’ miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi.”
“S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogni parte,”
rispuos’io lui, “l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte.”
[...]
E: “Se,” continuando al primo detto
“S’egli hanno quell’arte,” disse, “male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia della donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa.”

Inferno, canto X versi 22-51 e 76-81

Nessun commento: