martedì 1 aprile 2008

D'un tratto nel folto del bosco

Anche questo è uno di quei classici libri tappabuchi, che compro perché di dimensioni contenute, perché magari vengo da una lettura di mille pagine e voglio qualcosa di più leggero, o semplicemente per fare ‘conto paro’ con il prezzo di un altro acquisto. Quel giorno, contrariamente a quanto succede di solito, capitai in libreria per caso. Di regola, la libreria è una meta ragionata, esco di casa apposta per andare lì e passare una o anche due ore a sfogliare copertine. Quel giorno invece ero in zona per tutt’altro motivo, e entrai come si entrerebbe in un mercatino di quartiere. Cominciai a girare per gli scaffali, gettando un occhio qua e là, senza cercare niente in particolare. Avevo già visto altre volte questo libro, e mentalmente era finito nella casella del ‘forse un giorno lo prenderò, ma non oggi’. Invece quel giorno continuavo a guardare quella copertina blu elettrico con l’albero giallo al centro. Mi frugai le tasche, e incredibilmente c’erano proprio dieci euro (non porto mai soldi con me, tranne quando so che devo comprare qualcosa, e non era quello il caso). Combaciava tutto alla perfezione, non poteva non essere un segno, così lo comprai. Era un venerdì mattina, avevo appena finito di dare un esame, e dovevo tornare a casa a preparare la valigia per tornare in paese. Mi ci vollero dieci minuti per farlo, poi mi sedetti sul divano e cominciai a leggere. In poco più di un’ora ero arrivato a metà, ma si era fatto il momento di andare a prendere il treno. Incontrai una persona che conoscevo, ma non potevo resistere, e dovetti continuare a leggere, anche se sapevo che non è una cosa carina incontrare qualcuno che si conosce e ignorarlo per leggere. Chiusi il libro quando si cominciarono a vedere dai finestrini le prime case di Cefalù: l’avevo finito. Poco più di due ore di lettura. Credo sia il mio record assoluto.

“D’un tratto nel folto del bosco” è più una fiaba che un racconto. Non sfigurerebbe affatto in un libro dei fratelli Grimm. Amos Oz dà prova di tutta la sua maestria descrittiva nel raccontare di un paese stregato, senza tempo e senza nome, da cui misteriosamente sono sparite tutte le forme di vita animale tranne gli uomini. E a nulla valgono le domande dei bambini curiosi, a nulla valgono le ombre che strisciano silenziose nella notte: gli adulti non parlano, non vogliono riportare a galla segreti che sono tenuti nascosti nel fondo di un pozzo buio. Eppure trapela qualcosa di strano, in alcuni gesti, in alcuni atteggiamenti, come i curiosi disegni della meastra Emanuela, o la solitudine del pescatore Almon, o lo spargere briciole della fornaia. E Mati e Maya, spinti dalla curiosità e dall’incoscienza dei bambini, decidono di partire per il loro viaggio avventuroso, in cerca del villaggio nel quale credono si siano rifugiati gli animali scomparsi. E nel folto del bosco trovano Nimi, lo strano bambino malato di nitrillo, Nehi, il demone del bosco, e la triste verità che si cela dietro questi personaggi.

Con la sua straordinaria capacità di raccontare sia attraverso le voci che attraverso i silenzi, Amos Oz ci conduce, attraverso gli occhi dell’innocenza, in un viaggio onirico e ultradiemensionale, a contatto con profondi e struggenti umori dell’animo. E come in tutte le fiabe che si rispettino, ci consegna una morale, affidata al profondo valore della lingua degli animali, una lingua che prevede tanti suoni, ma non la possibilità di articolarli per formare parole come esclusione, emarginazione, diversità. Cosa in cui invece i rappresentanti della razza umana si rivelano maestri.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Hai scritto bene, una favola. Considero questo libro, come altri, lettura da 90 minuti.

Si lascia "bere" senza alcun "rigurgito", lascia le "verità" all'esterno.....90 minuti di fantasia.

Ed è un riposo dopo "Il quinto giorno" di Schätzing Frank Editore TEA (collana Teadue).

Bye, bye.

Robert Allen Zimmerman

Adryss ha detto...

Grazie per aver detto che scrivo bene. Mi piacerebbe ringraziarti chiamandoti per nome, ma visto che hai scelto per firmarti con uno dei tanti pseudonimi di uno dei più grandi interpreti della muscia di tutti i tempi, fa lo stesso. Non mi resta altro da fare che dirti... Grazie, Bob!