Forse è troppo facile, troppo banale, troppo scontato parlare in questi anni della guerra in Iraq. Forse, anche se non vorremmo, non possiamo non tirare un sospiro di sollievo quando un silenzio ristoratore copre queste notizie, e al contrario uno sbuffo ci esce inconsapevolmente dalle labbra ogni volta che sul giornale leggiamo dell’ennesima bomba, da qualunque parte essa venga. Figuriamoci cosa può voler dire fare un fumetto, anzi una graphic novel, proprio su questo tema.
Conoscevo Brian K. Vaughan per altre sue opere, le più importanti delle quali sono certamente “Y: l’ultimo uomo” e “ Ex machina”. Non avevo idea di chi fosse Niko Henrichon, ma è bastata una rapida occhiata alla copertina per farmi dire che volevo questo fumetto. Era sigillato, quindi non ho potuto neanche sfogliarlo prima di comprarlo, e non conoscevo nessuno che l’avesse già letto, quindi andavo totalmente alla cieca. Eppure, qualcosa mi diceva che non me ne sarei pentito, perché quegli occhi in copertina mi dicevano che c’è qualcosa di sbagliato in quel silenzio ristoratore, che è necessario parlare. E scrivere. E disegnare.
Nell’aprile 2003, il cielo di Baghdad è caduto. Quattro leoni (un maschio, due femmine e un cucciolo) fuggono dallo zoo dove vivevano, semidistrutto dalle bombe. Non capiscono cosa sia successo, non sanno dove andare, come procurarsi il cibo. Fino ad allora erano vissuti all’ombra dei custodi, che davano loro da mangiare e li accudivano. Eppure, qualcosa si risveglia dentro di loro: il desiderio di essere liberi, l’orgoglio di essere leoni. Si avventurano in un mondo che non conoscono, incontrano altre bestie che non hanno mai visto e altre ancora che invece conoscono. Il senso del branco, sopito ma non estinto in una vita di cattività, li fa andare avanti, uno accanto all’altro. Fino a trovare il loro orizzonte. E la morte, ironica e beffarda, che li attende non appena lo raggiungono.
La storia può sembrare triste, ma non è la melanconia fine a se stessa il motivo conduttore delle vicende. Quello che risalta è invece, ancora una volta, la scelleratezza della razza umana. Una razza disposta a distruggere la natura che la circonda, a massacrarsi tra simili per il denaro, per quello da cui questo deriva, e per il potere che ne scaturisce. In antitesi alla pochezza delle azioni degli uomini, spicca la nobiltà delle scelte animali. Quelli che dovrebbero essere i rappresentanti del puro istinto, trovano invece la maturità spirituale per onorare un vecchio patto, o per mostrare rispetto per coloro che li hanno accuditi fino ad allora, anche se questo vuol dire rinunciare alla possibilità di avere cibo facilmente. Laddove invece gli umani non riescono a rinunciare al loro unico, vero istinto, quello che li porta a guidare carri armati, a lanciare bombe, a impugnare fucili: l’odio. Non è un caso che gli animali dai comportamenti più bassi siano proprio le scimmie, i più vicini all’uomo nella scala evolutiva.
Un romanzo a fumetti intenso e coinvolgente, che vale la pena avere in libreria per tornare a rileggerlo ogni tanto, giusto quando è necessario ritrovare qualcosa su cui soffermarsi a pensare.
“C’è una cosa nera, sotto la terra, ragazzo. Veleno. Quando i bipedi combattono, lo sputano in cielo, e lo versano in mare.”
“Bipedi? Vuoi dire i custodi?”
“Custodi, bipedi, Uomini... Non importa come li chiami, sono tutti uguali.”
“E per cosa combattono?”
“E che ne so, figliolo... Che mi importa, ormai.”
2 commenti:
Leoni per agnelli insomma...
:-)
Non l'ho visto, so a stento di che parla (la guerra in afghanistan). In effetti, era un film che avrei visto volentieri, ma come accade sempre, per una cosa o per un altra non ci sono andato.
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